Spezzare Facebook non basta. Lasciamo che i social network parlino tra loro

Zuckerberg e Hughes
Ritratto dei fondatori di Facebook da giovani: Mark Zuckerberg e Chris Hughes

I social network sono diventati come le reti del telefono, del gas, dell’energia elettrica: un servizio pubblico. Che non può appartenere a una sola azienda. Solo creando uno standard che obblighi le diverse piattaforme a dialogare tra loro si può risolvere il problema. Ecco perché

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Perché i monopoli digitali vanno spezzati

Elizabeth Warren, candidata democratica alle primarie Usa, dice che bisogna riprendere in mano il bastone dell’Antitrust. Come cent’anni fa, quando la Standard Oil di Rockefeller fu scorporata in 34 pezzi. Allora la lotta ai monopoli consentì di far crescere la classe media e far calare drasticamente  le diseguaglianze. Breve cronaca per spiegare come – accantonata la lotta alle grandi concentrazioni – oggi siamo tornati alla situazione di cent’anni fa

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Sorpresa, le nuove élites sono le stesse di ieri

Trump sul New York Times
Trump sul New York Times

Trump, Farage, Putin, Grillo. Come sempre, i nuovi potenti provengono dalle fila dei miliardari, dalle grandi università, dai servizi segreti, dal dorato mondo dello spettacolo… Ma oggi il nuovo potere è più concentrato e irraggiungibile, perché nell’era della disintermediazione si rivolge direttamente al popolo. Spazzando via i corpi intermedi.

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I giornali muoiono, cercasi il nuovo Scalfari

Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo
Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo

Le copie calano del 10% all’anno. La pubblicità migra sul web e in gran parte finisce nelle fauci di Google e Facebook. E gli abbonamenti digitali non decollano. Il vecchio modello del giornalismo italiano, che coniuga contenuti alti e bassi, sul web non funziona più. O almeno: non produce fatturato. E allora?  

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Perché i memi sono come il cioccolato

Meme contro Hillary Clinton circolato nel novembre 2016 soprattutto tra gli esponenti della destra religiosa dei fondamentalisti evangelici americani

I memi sono il formato editoriale più idoneo alla propagazione delle informazioni tramite passaparola attraverso la Rete. Raggiungono audience molto vaste, catturano l’attenzione degli utenti e ne conquistano il favore, in modo tale da motivarli a rilanciare il contenuto verso i loro contatti sui social media e nella rubrica email. La struttura dei memi è articolata su due piani: il primo è costituito da un’immagine o da una breve animazione che spesso sono tratti da notizie di cronaca, film o archivi delle subculture di Internet. Il secondo è composto da una didascalia, sovrapposta in modo arbitrario allo strato figurativo, con l’effetto di modificarne l’interpretazione in chiave parodistica. Nella composizione finale, il meme descrive una breve storia che sottintende un giudizio morale. Spesso il messaggio è umoristico, o sarcastico, ma punta direttamente alla pancia dell’utente, suscitando talvolta intolleranza e rabbia. 

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Memi contro la libertà

Meme divulgato dal profilo Instagram di the_typical_liberal
Meme divulgato dal profilo Instagram di the_typical_liberal, che conta quasi un milione di follower e irride ai valori della sinistra americana

Le istituzioni politiche dei paesi occidentali legittimano il loro potere sul consenso popolare, non sulla libertà dei cittadini: per questo la dieta informativa dell’opinione pubblica è composta in larga misura da memi (che si occupano di divertimento e di emozioni) e non da notizie – che invece insistono sul regno della verità, dell’opinione, della libertà. I memi si impongono alla comprensione degli utenti senza bisogno dell’impegno della lettura; propongono un’informazione senza dover affrontare argomenti e sfidare tesi contrapposte; diffondono tesi attraverso la semiotica della parodia e del grottesco, aggirando le regole della responsabilità degli autori, e degli editori, per le falsità che vengono sostenute e messe in circolazione. Soprattutto, cambiano il medium che sostiene la loro diffusione, transitando dall’identità costruita negli anni delle testate giornalistiche all’anonimato dei profili sui social media. Ecco alcuni esempi su come, inventando memi e usando in modo appropriato i social, si può deformare la verità e moltiplicare i follower.

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Pizzagate e QAnon, quando i complotti cambiano la politica

Sostenitori di Trump e di QAnon
Sostenitori di Trump e fan di QAnon durante il comizio del presidente a Wilkes Barre, Pennsylvania.

È curioso che una delle fonti più prolifiche della dieta informativa negli USA sia 4chan.org un sito di scherzi digitali o, per esprimerci più correttamente, un forum di memi pubblicati da autori anonimi, con uno scorrimento cronologico dei contenuti che si arresta alla ventesima pagina, oltre la quale il passato viene cancellato per sempre. Di 4chan.org, Nick Douglas nel 2008 aveva scritto su Gawker che «può scioglierti il cervello», commentando il carnevale linguistico e iconografico che popola le sue pagine, un repertorio di memi pronto a infettare i social media e a scatenare epidemie di follia semiotica su Facebook, Instagram e Whatsapp.  

Ecco due esempi di come gli effetti di queste tecniche di comunicazione possano avere effetti devastanti sull’opinione pubblica e sulla politica.

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Gli assistenti vocali e i due monopoli più grandi della storia

Amazon Echo e Google Home
Amazon Echo e Google Home

Google Assistant e Amazon Echo non sono due giocattoli da salotto, ma i mattoni fondamentali della strategia con cui i due giganti del web stanno conquistando i mercati locali, creando i monopoli più potenti mai esistiti

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La nuova Apple: tv, giornalismo e finanza

Apple ha annunciato la sua nuova strategia nei servizi: un servizio di streaming tv (Apple TV Plus) per fare concorrenza a Netflix; un servizio di abbonamento a quotidiani e riviste (Apple News Plus) e una nuova carta di credito (Apple Card). È l’ultimo di una serie di annunci, in poche settimane, che mostra come i colossi del web stiano dilagando nel mondo dell’entertainment e della finanza. In particolare: 

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Zuckerberg parla di privacy ma pensa al commercio elettronico

Mark Zuckerberg
Mark Zuckerberg

Perché prendere sul serio Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, quando promette di dare una radicale sterzata verso la privacy al suo social network? Questa è la domanda principale che gli analisti si sono fatti, in giro per il mondo, all’indomani dell’ormai celebre post (A Privacy-Focused Vision for Social Networking) del leader di Facebook) pubblicato il 6 marzo. Perché prendere sul serio Zuckerberg, dopo tutti gli scandali e le promesse non mantenute degli ultimi anni, non è facile.  Ma ricapitoliamo. Il post di cui sto parlando è lunghissimo (3200 parole) ma le cose importanti sono quattro:

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