Le istituzioni politiche dei paesi occidentali legittimano il loro potere sul consenso popolare, non sulla libertà dei cittadini: per questo la dieta informativa dell’opinione pubblica è composta in larga misura da memi (che si occupano di divertimento e di emozioni) e non da notizie – che invece insistono sul regno della verità, dell’opinione, della libertà. I memi si impongono alla comprensione degli utenti senza bisogno dell’impegno della lettura; propongono un’informazione senza dover affrontare argomenti e sfidare tesi contrapposte; diffondono tesi attraverso la semiotica della parodia e del grottesco, aggirando le regole della responsabilità degli autori, e degli editori, per le falsità che vengono sostenute e messe in circolazione. Soprattutto, cambiano il medium che sostiene la loro diffusione, transitando dall’identità costruita negli anni delle testate giornalistiche all’anonimato dei profili sui social media. Ecco alcuni esempi su come, inventando memi e usando in modo appropriato i social, si può deformare la verità e moltiplicare i follower.
Influencer su Instagram
«Salvare la generazione Z un meme per volta» è il motto di un profilo su Instagram che conta quasi un milione di follower: quasi il doppio di quelli di Repubblica, e il triplo di quelli del Corriere. Si chiama the_typical_liberal, si rivolge ad un pubblico che privilegia la fascia degli utenti più giovani, e ha dedicato i suoi quasi diecimila post a denunciare «le bugie dei liberal».
Tra i post più recenti si trovano memi di aperto sostegno a Trump, con immagini che ritraggono il presidente mentre arringa i sostenitori nei vari comizi in giro per gli USA, o mentre si vanta di essere sposato con una supermodella; memi che denigrano Joe Biden, dopo la sua dichiarazione di volersi candidare alle prossime elezioni per la Casa Bianca; memi che paragonano i valori degli oppositori liberal agli slogan della rivoluzione comunista a Cuba; memi che irridono gli studenti universitari sopraffatti dai debiti per l’iscrizione al college, sostenendo che se lavorassero mentre studiano, invece di prendere parte a feste e distrazioni, non dovrebbero ricorrere al credito bancario per frequentare l’università. Naturalmente non mancano contenuti che si scagliano contro le teorie gender, contro le femministe, contro l’aborto, contro i giornali, a favore del cristianesimo conservatore: il menu dell’ortodossia trumpista al gran completo.
Ma the_typical_liberal ci interessa perché permette di osservare come la diffusione dei memi sia una tecnica che maneggia con abilità i meccanismi dell’algoritmo di gestione della piattaforma. Basta intercettare per qualunque ragione un post di the_typical_liberal per essere sottoposti a due processi di attrazione nella rete di profili che rilanciano, commentano, ripropongono e amplificano i memi che il dissacratore della sinistra va disseminando. Il primo si innesca nel momento stesso in cui il nuovo utente entra in contatto con the_typical_liberal e compie una ricognizione della scheda di presentazione del profilo. La piattaforma propone sotto le poche righe di descrizione una serie di altri profili che ritiene simili a quello principale. Qui troviamo in prima battuta dc_draino, che per chiarire la prossimità alla fonte si fregia di un’immagine in tutto simile a quella di the_typical_liberal: un fiero rivoluzionario americano, con un tricorno che ricorda i bei tempi del Tea Party, insieme ad un paio di Ray-Ban che rendono carico di mistero (per la verità del tutto invisibile) il suo sguardo puntato verso destra; la figura del combattente si staglia su uno sfondo in cui sventola la bandiera a stelle e strisce.
dc_draino conta quasi 530 mila follower, anche lui si rivolge ai «patrioti», che si caratterizzano per la vocazione pro-Trump. Segue millennial_republicans, poi il profilo ufficiale di Trump, quindi quelli di altri personaggi che si definiscono influencer sostenitori di visioni di destra.
L’algoritmo di Instagram
Il software di Instagram è progettato per ordinare la bacheca di ogni utente in modo tale da distribuire i post secondo un ordine di interesse, non secondo la sequenza cronologica. I parametri che vengono calcolati dall’algoritmo, come di consueto, sono molti e non sono pubblici. Tuttavia, la personalizzazione segue la distribuzione dei like dell’utente stesso, più il successo raggiunto dai profili che pubblicano i contenuti, in gara per raggiungere la migliore visibilità. Un creatore di contenuti che si aggiudica molti follower, molti like e molti commenti, scala la gerarchia della popolarità, e guadagna maggiori probabilità di collocare le sue immagini e i suoi video tra i primi contenuti osservati dagli altri utenti. Va da sé che in questo modo le sue opportunità continuano a crescere. Il modo dei social media obbedisce alla legge di Pareto, in cui chi vince vince sempre di più, e chi perde perde sempre di più: in altre parole, il secondo processo di attrazione nella nebulosa dei troll è una conseguenza della legge per cui sui social media chi vince piglia tutto.
Fabbriche di troll
Charles Maynes ha documentato nel marzo 2019 su Public Radio International le testimonianze di giornalisti russi che si sono introdotti sotto copertura nelle «fabbriche dei troll» di San Pietroburgo, gestite dalla Internet Research Agency, con sede all’indirizzo Savushkina 55. Le storie di Vitaly Bespalov e di Lyudmila Savchuk sono congruenti nella loro struttura, e coprono un arco di tempo che va dal 2011 al 2015. Durante il loro periodo di lavoro negli uffici dell’IRA hanno potuto osservare decine di impiegati divisi in reparti con funzioni specialistiche, dalla creazione di blog alla disseminazione sui social media, alla generazione di meme. I bersagli sono gli oppositori interni del regime di Putin, il governo filo-europeo dell’Ucraina, i leader dell’Unione Europea e degli USA. L’aspetto che ci riguarda da vicino è il lavoro di generazione di profili finti sui social media, con lo scopo di rilanciare e amplificare i post iniettati dai profili che svolgono la funzione di influencer. Oltre ai troll umani, l’agenzia di cybersicurezza FireEye ha rilevato comportamenti riconducibili all’azione di bot, cioè di software che simulano un comportamento umano nel cliccare su like, nel rilanciare e nel commentare i post di altri utenti.
La strategia dell’Internet Research Agency Influencer naturalmente non è un’esclusiva dei russi. Chiunque può seguire lo stesso metodo, e ottenere gli stessi risultati. Nel novembre 2017 un’inchiesta di Horowitz sul New York Times aveva mostrato che una sola famiglia romana, i Colono, aveva messo in piedi un circuito di 175 blog con orientamento ultraconservatore: le pagine su Facebook dei due siti più influenti (DirettaNews e iNews24)
nel 2017 hanno ottenuto 25 milioni di interazioni (per capirci, solo due milioni di interazione meno della pagina del Corriere). Troll e bot sono tutti collegati tra loro, e si prodigano in condivisioni e commenti reciproci – oltre all’attività di seeding, che si compie entrando in contatto con altri utenti in carne ed ossa, e soprattutto buona fede. Gli operatori umani servono proprio a innescare il dialogo con gli altri utenti reali, attraverso azioni di following, di commento, e in generale di lusinga e seduzione. Grazie a questo metodo, l’algoritmo tende ad accrescere la stima attribuita ai profili più in vista, e a ottimizzare le posizioni dei loro contenuti. Da qui si attivano altri due processi di suggerimento, oltre a quelli descritti in precedenza: quelli pubblicitari, e quelli che intervengono nel corpo stesso della bacheca degli utenti. Dopo aver verificato che il soggetto ha premiato con il suo like alcuni contenuti simili a quelli dei profili più influenti, il software gli suggerisce di seguirli offrendo esempi dei loro post. Qui si chiude il cerchio: per intercettare the_typical_liberal non serve averlo cercato in modo esplicito, o essere follower di qualcuno dei suoi troll; basta aver apprezzato qualcuno dei suoi memi in circolazione sulle bacheche dei propri amici, per essere esposti al suggerimento e al contatto.
La fraternità dei memi
La “fratellanza” che i social media stringono tra gli utenti, attraverso le relazioni di amicizia, i cuori e i pollici sollevati che manifestano approvazione e ammirazione – mostrano che questo valore non si trova sullo stesso piano, e non è sostituibile con gli altri due pilastri della Rivoluzione, libertà e uguaglianza. Questi ultimi insistono sulla razionalità, sull’argomentazione, sull’opinione che si forma attraverso la discussione e la comprensione dei problemi; il primo invece rinvia al sentimento, all’empatia, all’immediatezza della felicità e della sofferenza che irrompono dall’immagine, da ciò che l’individuo vede e sente sull’altro. Ma la fratellanza è cieca davanti alle manovre dei troll, alla proliferazione degli stimoli iconografici, all’emozione degli aforismi e delle battute: è il punto di applicazione di una tecnologia politica che ha ormai poco da spartire con la libertà, con la preservazione del diritto di uguaglianza, con il gioco razionale delle opinioni.
- Questa è la seconda parte di una serie di approfondimenti sui memi e la politica.
- La prima parte è un’introduzione alla loro struttura e alla loro funzione nella comunicazione politica;
- La terza parte è una ricostruzione di due campagne di comunicazione realizzate con i memi, Pizzagate e QAnon.
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