Nella campagna online per le recenti elezioni europee il Pd ha speso più della Lega. Ma ha usato messaggi generici e meno personalizzati. Mentre la Lega ha puntato tutto sul Capitano e sugli argomenti suggeriti da Google Trends. E la Bestia, tanto decantata dai media, ha usato solo un po’ di buon senso populista. Radiografia di due strategie digitali
L’indagine di Openopolis sugli investimenti per la propaganda elettorale delle Europee del 26 maggio mostra che la somma di tutti i partiti italiani ha totalizzato una spesa, per le inserzioni online, di poco più di 660 mila euro. Poco, se lo si confronta con gli oltre 50 milioni di dollari elargiti dal solo Donald Trump per la conquista della Casa Bianca nel novembre 2016.
Ma forse il dato più sorprendente è un altro, e riguarda la distribuzione dei fondi allocati nella campagna digitale dalle forze politiche: il Partito Democratico è il soggetto che ha sostenuto i costi maggiori, con un budget complessivo di quasi 200 mila euro (197.893 per l’esattezza). Seguono la Lega, con poco più di 152 mila euro e Forza Italia con quasi 143 mila euro. Più staccati, si segnalano i 102 mila euro di Fratelli d’Italia, i poco più di 50 mila del Movimento 5 Stelle, e i 15 mila di +Europa. In altre parole, il budget del principale partito di opposizione è stato equivalente alla somma di quello delle forze di maggioranza – sebbene la quantità di preferenze raccolta dalle urne corrisponda a meno di metà di quella della coalizione di governo.
Vale la pena di osservare, per inciso, che la raccolta dei dati è resa più difficile dall’assenza di una norma che regoli i comportamenti dei finanziatori delle campagne elettorali online: non è previsto l’obbligo per i partiti di inserire i costi dei post digitali nella scheda di rendicontazione dopo il voto, né di dichiarare chi sono i mandatari dei pagamenti. Non è nemmeno chiaro il vincolo del silenzio nei tre giorni che precedono il giorno dell’apertura dei seggi. Su questo tema i social media e i motori di ricerca seguono una procedura di maggior trasparenza di quanto sia preteso dalla legge per i politici e per i loro partiti: tutti i dati su cui è possibile lavorare provengono da Facebook e da Google.
Dove punta la campagna di Salvini
Passiamo a dare un’occhiata al modo in cui sono stati spesi i soldi della campagna, partendo dal vincitore delle elezioni: la Lega.
Il report sulle inserzioni pubblicato da Facebook chiarisce che l’85% del budget del partito è servito a sostenere la figura del leader, Matteo Salvini. In prima istanza, l’informazione che viene veicolata attraverso i post sponsorizzati riguarda il favore tributato al Capitano dalle masse che si raccolgono ai suoi comizi.
La diffusione dei video che ritraggono le folle in tripudio a Pavia, Bagheria, Milano, Montecatini, Scandicci, sono al contempo l’oggetto di un altro format di comunicazione, tra i più amati dai movimenti politici che in tutti i tempi si sono professati al di sopra degli interessi dei partiti, delle classi sociali e di tutte le fazioni: «Noi vi sveliamo quello che gli altri (nelle varianti: poteri forti, giornali, televisioni, intellettuali, politici di professione) vi vogliono tenere nascosto». «Fate girare voi queste foto perché TV e giornaloni faranno di tutto per nasconderle» recita testualmente il commento di un post di Matteo Salvini, sponsorizzato con circa mille euro e capace di toccare quasi un milione di visualizzazioni sulle bacheche di Facebook.
Il ministro degli Interni è acclamato dalla gente, ma questa verità viene messa a tacere: l’obiettivo di renderla pubblica è il primo scopo di investimento in propaganda della Lega. «Lo sai perché Salvini ha tutti contro?» domanda un post in forma di meme sponsorizzato con quasi 10 mila euro, che ha raggiunto più di un milione di utenti sul social network: «Perché ha fermato la mangiatoia dell’immigrazione».
Chi si sfama a questa greppia che espone gli italiani al rischio dell’invasione straniera? Lo spiega un altro post in forma di meme, sponsorizzato con circa mille euro (visto da poco meno di mezzo milione di utenti): i banchieri, la finanza e la politica del passato, che coincide con il PD.
Nelle inserzioni che ricorrono alla semiotica dei memi, Salvini si rivolge di preferenza a un pubblico, più femminile e di età più avanzata, che per oltre il 53% ha superato i 45 anni e per quasi il 60% è composto da donne. Invece l’audience maschile e di età più giovane può essere guidata attraverso esempi concreti.
La Lega ha pagato quasi 50 mila euro per amplificare un post in cui viene condiviso il video di un telegiornale locale della Puglia: l’argomento è un extracomunitario che aggredisce un capotreno e un poliziotto, per poi scappare. Altri 5 mila euro sono stati versati per divulgare un inserto della trasmissione di RaiUno UnoMattina, in cui il Ministro dell’Interno commenta l’episodio di un marocchino che appicca un incendio alla sede di un comando di vigili urbani. In entrambi i casi, la fascia di pubblico più coinvolta è maschile (intorno o poco sopra il 60%), con particolare attenzione al segmento tra i 25 e i 54 anni.
Il Capitano è sempre pronto a difendere la sicurezza degli italiani «senza tentennamenti, senza ripensamenti e senza mezze misure». La prova del suo impegno è nel comando «porti chiusi!», con cui ha impedito l’arrivo di nuovi immigrati, con il Decreto Sicurezza bis – che restringe l’ingresso nel Paese solo a chi ne ha diritto e solo a chi mostra rispetto per la nazione ospite – e con la legge sulla legittima difesa.
Contro “le manovre dei professoroni, dei giornaloni, dei banchieri” (che adoggi sono l’unica categoria di avversari a non essersi ancora meritata l’accrescitivo nel lessico di stampo infantile, forse perché virtualmente già inclusa nel genere dei «rosiconi» cui si indirizzano i «bacioni» di Salvini) il Ministro dell’Interno pratica infatti una politica del buonsenso, che è la parola d’ordine con cui si accompagna il motto «Prima l’Italia!» dell’intera campagna.
Un cameo che sprofonda così tanto nel Kitsch da raggiungere quasi la poesia, è il post amplificato con circa 5 mila euro di investimento, in cui il Capitano bacia il rosario che nonna Maria gli porge durante il comizio a Gioia del Colle: la signora ha raggiunto la piazza in ambulanza per consegnargli di persona la collana votiva. Il messaggio è indirizzato alle regioni del Sud, a un pubblico che ha superato i 55 anni ed è composto al 60% da donne.
L’astratta campagna del PD
Come si regola il maggiore partito di opposizione di fronte all’iperattività del leader leghista per la sicurezza degli italiani e per la promozione del buonsenso contro la perfidia interessata di banchieroni e intellettualoni? Tentennando e sorridendo.
Il Partito Democratico ha predisposto una campagna con una collezione di sei post di base, che vengono ripubblicati centinaia di volte con investimenti inferiori a 100 euro e con apparizioni inferiori a mille utenti per volta. Vengono provate tutte le combinatorie di distribuzione geografica, di fasce di età e di genere, senza mai puntare su nessuna: una sorta di sequenza interminabile di test sulla squadra, senza mai decidersi a portarla in campo per giocare la partita. Le dichiarazioni sono una sequenza di opposizioni dialettiche su grandi temi astratti (di cui il primo è positivo e prescelto, il secondo è negativo e deprecato), senza mai cadere nella tentazione di offrire esempi o fatti concreti: investimenti/recessione, lavoro/odio, difesa/distruzione, scuola/paura, sicurezza/armi, speranze/muri.
Il segretario Zingaretti può essere solo raffigurato ma mai nominato: una sfida alle tesi dell’iconoclastia teologica che sembra quasi intenzionale. D’altra parte, questo leader che può essere mostrato, ma non invocato, svolge un lavoro che lo eguaglia alla beatitudine degli dèi: sorride. Zingaretti si rasserena in solitudine, in compagnia di una bella ragazza, accanto ad una coppia di giovanotti, di fronte ad operai col caschetto, e persino davanti a individui non classificabili in modo chiaro. Sorride, al modico prezzo di qualche decina di euro per volta, per oltre un migliaio di ripubblicazioni di ogni post.
Insieme a questa inondazione di simpatia, il Partito Democratico sembra scegliere tre argomenti su cui provare una proposta politica: sono tre video, che ottengono investimenti da quasi mille euro, sullo sviluppo sostenibile, sulla lotta all’inquinamento, sullo sforzo europeo di sostegno al lavoro. I video hanno ritmo, con belle immagini e montaggio incalzante, non entrano nel merito concreto di nulla – ma finalmente il PD dice qualcosa di sinistra.
Cosa interessa agli elettori
A questo punto vale la pena di eseguire qualche controllo sul grado di interesse spontaneo che il pubblico in Italia nutriva intorno ai personaggi e ai temi che sono stati toccati dalle strategie di comunicazione di Lega e Partito Democratico. Google mette a disposizione uno strumento gratuito, che permette di esaminare l’evoluzione storica delle domande che gli utenti sottopongono al motore di ricerca: Google Trends offre una misurazione di facile accesso alle questioni che si presentano davvero nella curiosità del pubblico online, perché le domande non sono forzate da un ricercatore che somministra indagini di mercato, ma coincidono con le interrogazioni spontanee, formulate dai frequentatori del motore.
Negli ultimi dodici mesi l’interesse per Matteo Salvini è alto e costante. Le interrogazioni associate al suo nome spiegano quali sono gli oggetti di dettaglio della curiosità popolare: la relazione con Francesca Verdini, il decreto sicurezza e il rapporto tra il provvedimento normativo e l’immigrazione.
Nel grafico che mette a confronto cinque argomenti rilevanti per la campagna elettorale, Nicola Zingaretti è quello che ha attratto in misura minore l’attenzione degli utenti. Il picco di interesse si è registrato intorno al 3 marzo, in occasione delle Primarie del PD. Se infatti si esaminano le ricerche collegate, il focus della curiosità si concentra sul tema delle primarie; in seconda battuta, si sposta sulle elezioni europee e sul progetto «Piazza Grande» per il rilancio e la riorganizzazione del partito. Salvini dilaga nella coscienza delle persone per la sua vita privata e per le sue imprese relative alla sicurezza e all’immigrazione; Zingaretti invece rimane rinchiuso nell’orbita degli eventi interni al partito.
La nozione di «sicurezza» è seconda per volumi di richieste solo al nome di Salvini; e nel pensiero degli italiani è interamente presidiata dal rapporto con il Ministro degli Interni e con i suoi provvedimenti: «decreto Salvini», «decreto sicurezza Salvini», sono i primi riferimenti che appaiono nella formulazione delle domande, incalzati dalle connessioni con il tema dell’immigrazione.
D’altra parte, l’immigrazione è la terza questione per quantità di ricerche, e il suo dominio semantico sembra essere del tutto assorbito dalla questione della sicurezza e dalla normativa che la regola. «Decreto Salvini» e «decreto Salvini immigrazione» sono i primi sintagmi attraverso i quali l’argomento si affaccia nelle interrogazioni degli utenti. Il tema dell’immigrazione viene vissuto come un sottoinsieme delle criticità della sicurezza, ed entrambe le nozioni sono legate a doppio filo alla figura del segretario della Lega.
Se ci spostiamo sulle posizioni di sinistra, osserviamo che «inquinamento» è penultima nel grado di attrazione sull’interesse degli utenti, pur sovrastando le domande su «sviluppo sostenibile» e su Zingaretti. Il fenomeno viene prima di tutto collegato alla tassa sulle emissioni dei veicoli, poi al nome di Greta Thunberg, che con il suo attivismo sta sensibilizzando le platee di tutto il mondo sul cambiamento climatico. In successione troviamo poi le misurazioni dei fumi industriali, le modalità di iniziativa legale collettiva e la tutela della sicurezza pubblica. Dov’è il PD? Nella percezione collettiva degli utenti che interrogano Google, nessuna delle tematiche di sinistra è in qualche modo intestata al partito di Zingaretti – che fluttua estraneo agli interessi del pubblico, come la beatitudine olimpica del sorriso del segretario.
Una Bestia di buon senso
Un articolo del luglio scorso, pubblicato su Rolling Stone, ha contribuito a diffondere il mito che in casa leghista Luca Morisi, il responsabile della comunicazione digitale di Salvini, avesse allestito un software capace di intercettare ogni oscillazione delle passioni e delle paure del pubblico, in modo da permettere al Capitano di inseguirle con tempestività, e di diffondere sui giornali e sui social media le affermazioni più in sintonia con l’emotività popolare.
L’algoritmo magico che è in grado di intercettare le oscillazioni della sensibilità delle masse e di catturare il loro consenso è stato battezzato «la Bestia», non si sa più bene nemmeno da chi. In ogni caso, Bruno Vespa ha rilanciato questa storia, con il tocco narcisistico di sottolineare come Morisi fosse un suo fan dal millennio scorso, e anche La Stampa ci ha messo del suo. Nonostante fossero stati sollevati sospetti molto fondati sulla credibilità di questa ricostruzione, la convinzione che tutto nella comunicazione di Salvini sia studiato nel dettaglio, ha raggiunto il parossismo con l’interpretazione della foto pubblicata su Twitter dal Capitano la sera della vittoria alle Europee: i giornali hanno glossato ogni particolare con la pedanteria di rabbini che chiosano la Torah.
Eppure quello che emerge dalla lettura dei dati sulla campagna elettorale non porta alla luce nessuna delle caratteristiche che hanno reso la campagna elettorale di Trump del 2016 un punto di non ritorno nella storia della politica: non si registra la moltiplicazione dei post su Facebook al livello di microtargeting, con varianti personalizzate sulle caratteristiche di comunità di poche decine di individui, la selezione di segmenti di pubblico indecisi, geolocalizzati, profilati su interessi personali e misurati sulla capacità di influenzare cerchie di amici e parenti, i cui membri possono essere contati sulle dita di una mano. Non si vede l’effetto del lavoro di un manipolo di persone che elaborano sintesi sui dati macinati senza sosta da software di social network analysis, come quello che accadeva ogni giorno nel quartier generale di San Antonio sotto la guida di Steve Bannon (a un costo di 70 milioni di dollari al mese).
Quello che invece si disegna è l’applicazione di tanto buonsenso del vecchio marketing alla politica, con la convinzione che la chiarezza nella formulazione di una promessa (il Capitano ti garantisce sicurezza proteggendoti dall’immigrazione e dal declassamento sociale che ne seguirà), e nella proposta di una call-to-action (vota il Capitano, così lui potrà mantenere la promessa), può ottenere successo nella conquista di consenso politico così come lo ottiene nella vendita di detersivi per lavatrici. E strumenti gratuiti come Google Trends possono dare una mano a scegliere, con altrettanto buonsenso, i temi su cui concentrare lo sforzo di identificazione del brand.
Allo stesso tempo, si evidenzia che l’opposizione non è in grado di fare altrettanto. Parlare al pubblico rimane un tabù, quanto cercare di comprenderlo, di esaminare le sue richieste, di affrontare le sue paure. Il PD e i suoi leader si confrontano solo con quello che sembra preoccuparli davvero: la tenuta del partito e i conflitti di potere al suo interno. Per il resto, qualche vecchio slogan distribuito a tentoni, e una pioggia di tanti bei sorrisi, dovrebbero bastare. O no?
Un commento su “Salvini lava più bianco (di Zingaretti)”
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