Le 183 società commerciali di Amazon

Dai pannolini all’abbigliamento, dall’elettronica ai prodotti di bellezza. La società di Bezos produce una varietà crescente di beni e li vende sulla sua piattaforma, in diretta concorrenza con gli altri suoi clienti di cui controlla tutti i dati. Abuso di posizione dominante?

Sono almeno 183 le società commerciali fondate da Amazon. L’elenco è stato pubblicato da Leticia Miranda, una giornalista di BuffFeed, che ha svolto una lunga inchiesta per portare alla luce la galassia di società, spesso occultate da aziende intermediarie che operano in diversi paesi del mondo. Si tratta di un risultato ancora incompleto, ottenuto senza la collaborazione di Amazon. Più in dettaglio, ecco i numeri settore per settore: 

76: abbigliamento e accessori (dalle scarpe di Zappos all’abbigliamento femminile di Mariella Bella, dalla biancheria intima di Arabella agli abiti maschili di Franklin Tailored), 

2: prodotti di bellezza, 

4: catene di negozi (da Amazon Go a Amazon 4-star), 

3: training online (da Inspire a Whispercast), 

8: elettronica (da Alexa a Blink), 

1: energia (Wind Farm Texas), 

9: alimentazione e bevande (da Happy Belly a Whole Foods), 

3: finanza (da Amazon Lending a Tapzo), 

4: gaming (da Curse a GameSparks), 

3: prodotti farmaceutici/salute (da Basic Care a PillPack), 

11: mobili e prodotti per la casa (da Presto! a Rivet), 

27: media ed entertainment (da Audible a Goodreads), 

2: servizi professionali (Home Services e Mechanical Turk), 

5: logistica e trasporti (da Prime Air: Drones a Amazon Robotics), 

16: servizi per la vendita (da Quidsi a Junglee), 

9: servizi web (da Annapurna Labs a Safaba).

Ricapitolando: Amazon non controlla solo la più grande infrastruttura elettronica per il commercio mondiale, produce e vende anche beni di ogni genere, dai pannolini ai prodotti di bellezza, dall’abbigliamento all’elettronica. Negli ultimi anni ha registrato 800 marchi commerciali da cui, quasi sempre, è difficile risalire alla casa madre. Vende i propri prodotti su un’infrastruttura dove tiene sotto controllo i dati di tutti i concorrenti e di tutti i clienti. Conosce i gusti, le tendenze, il meccanismo dei prezzi. Sa che cosa funziona e cosa non funziona. E decide in che modo sferrare la concorrenza ai propri stessi clienti. 

Qui potete trovare alcuni esempi che illustrano la determinazione con cui Bezos persegue l’obiettivo di eliminare i concorrenti. Un caso emblematico è la trattativa per l’acquisizione di Quidsi, una società di e-commerce fondata nel 2005 e specializzata nella vendita di prodotti per la cura dei neonati, l’igiene della casa e quella personale. Nel 2009 l’azienda (che ha un fatturato annuo di 300 milioni di dollari) declina un’offerta di acquisto da parte di Bezos. Dopo il rifiuto, Amazon riduce il prezzo dei pannolini e dei prodotti per l’infanzia del 30% rispetto a Quidsi. Poi attiva il programma “Amazon Mom”, che garantisce ai clienti che si registrano una riduzione di un altro 30% sui pannolini. Gli amministratori di Quidsi stimano che le perdite sostenute da Bezos in soli tre mesi di campagna ammontino a 100 milioni di dollari. Ma la strategia aggressiva ottiene il risultato desiderato: la proprietà di Quidsi accetta di cedere la società. Un paio di mesi dopo Amazon chiude le iscrizioni al programma dedicato alle mamme, poi riduce gli sconti dal 30% al 20%, infine al 5%.

Un altro esempio (riportato nel 2012 dal Wall Street Journal con un titolo che fece scuola: Competing with Amazon on Amazon ) è quello dei Pillow Pets, cuscini di peluche con l’immagine degli animali mascotte delle squadre dell’NFL (National Football League) americana. Il prodotto è confezionato e venduto sul sito di Amazon da un rivenditore indipendente che per diversi mesi registra un crescente successo, fino a vendere diverse centinaia di unità al giorno. A quel punto Amazon – che controlla in tempo reale l’andamento delle vendite – mette sul mercato un articolo di propria produzione sostanzialmente identico, a prezzo inferiore, attraverso il servizio di AmazonBasics, il brand creato nel 2009 per vendere merci a basso costo, facendo immediatamente crollare le vendite dei Pillow Pets originali. 

Alcuni mesi fa la Commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, ha aperto un’inchiesta per capire se Amazon abusa della propria posizione dominante, utilizzando i dati delle aziende che usano la piattaforma, per favorire i prodotti delle proprie aziende. Ovviamente Amazon nega di farlo, ma si tratta di un problema scivoloso: gli eventuali abusi sono difficili da dimostrare perché nessuno può mettere in naso dentro il software della piattaforma. Ma il problema sta diventando rilevante e inchieste analoghe sono state aperte dalle autorità antitrust in Francia, Germania e Austria.

Il problema, che abbiamo già affrontato in un recente articolo su Lina Khan, è sempre lo stesso: può un’azienda che controlla un’infrastruttura fare concorrenza diretta alle aziende che usano l’infrastruttura?  

Recentemente l’antitrust britannico ha deciso di mettere sotto esame l’investimento (di minoranza) di Amazon in Deliveroo, l’azienda per la consegna di cibo a domicilio. Il Financial Times suggerisce che per battere la concorrenza Amazon potrebbe offrire il servizio gratis agli abbonati a Prime, come già fa con il suo servizio di streaming tv.

Anche l’Antitrust Usa sembra in procinto di aprire un’inchiesta sui presunti abusi di Amazon, spinta dai giganti della grande distribuzione che chiedono di aggiornare le regole dell’Antitrust al mondo digitale. Il risultato è che Amazon sta moltiplicando gli investimenti in lobbying, a Washington, Bruxelles e nelle capitale europee. 

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