La coda lunga di Amazon

Chris Anderson[1]ha chiarito che la forza di Amazon consiste nella «coda lunga» del suo catalogo: l’e-commerce di Bezos può offrire ai clienti una mole vastissima di prodotti che i negozi fisici non possono esporre nei loro scaffali per banali ragioni di spazio, oltreché in un eccessivo investimento nelle scorte: per quanto i locali di esposizione possano essere vasti, le loro dimensioni sono sempre troppo ristrette rispetto al numero di merci potenzialmente presenti sul mercato. Il rapporto che si stabilisce per regola generale è 80/20: il 20% degli articoli vengono cercati e comprati dall’80% dei clienti – mentre l’80% rimanente viene agognato dal 20% dei potenziali acquirenti. È questo 80% che, generalmente, i negozi fisici sacrificano. 

Al contrario, il catalogo online di Amazon deve sopportare un costo di pochi Kb di memoria per mostrare un prodotto; ma le poche unità vendute per ciascun articolo dell’80% che i negozi fisici non ospitano nei loro magazzini, procura più del 50% del fatturato della piattaforma di e-commerce.

In apparenza quindi Amazon è il centro commerciale in cui può essere trovata qualunque cosa: ogni curiosità trova il suo compratore e ogni ossessione consumeristica può essere placata. In realtà la questione è più complessa. Il catalogo ospita ogni settore di mercatoche si distribuisca nella coda lunga dell’offerta; ma, a sua volta, ciascuno di questi segmenti si comporta come il listino complessivo, sviluppando una coda lunga al proprio interno. Chi è appassionato di musica classica, sa che quell’industria (per lui così importante) occupa un posto abbastanza basso non solo nella curva generale delle transazioni di Amazon, ma persino in quella specifica della musica: sinfonie, melodrammi e quartetti si aggiudicano circa un brano ogni dieci venduti. È qui che entra in gioco la potenza dei dati memorizzati dalla piattaforma. Il motore di ricerca di Amazon (A9, ne parleremo più nel dettaglio dopo) riconosce le nostre preferenze partendo da pochi clic sulle schede dell’archivio; identifica senza esitazioni il tratto di coda in cui collocare i suggerimenti giusti per incuriosirci, trattenerci sulla piattaforma, motivarci all’acquisto. Ma è in quest’ultimo passaggio che si concentra il nodo critico. Se nella cronologia della nostra navigazione si trovano richieste di informazioni su autori che si trovano a loro volta nella sezione più bassa della coda della musica classica (Zoltán Kodály, Bohuslav Martinů o Nikolai Myaskovsky), i suggerimenti che ci vengono forniti tentano di spostarci verso autori che si collocano nella parte alta della curva: per esempio Beethoven e Stravinsky. 

L’obiettivo della vendita a colpo (quasi) sicuro disincentiva la proposta di autori che si collocano nelle zone remote della coda lunga. Amazon sa (perché lo verifica in ogni istante) che è più probabile intercettare una corda sensibile per Mozart o Beethoven in tutti quelli che sono perseguitati dall’insano amore per la musica «colta»; mentre il rischio del fallimento, del clic andato a vuoto, cresce quando la sperimentazione si spinge verso periferie meno battute.

Prima di Amazon e dei motori di ricerca, la dedizione alla musica classica da parte di professionisti, editori, cultori e principianti, poteva essere vissuta come l’iscrizione a una nicchia, così come ora; ma i confini della tribù erano sfumati, le dimensioni non erano contate a livello del singolo clic e la marginalità di alcuni interessi era altrettanto nebulosa. Per intuizione, tutti sapevano che i cultori di Kodály non potevano essere paragonabili per quantità alle schiere dei conoscitori di Beethoven; ma l’assenza di una dimensione numerica precisa non impediva ad alcuni discografici di investire nella registrazione dei suoi pezzi, e ad alcuni negozi specialistici di allestire uno spazio nei loro scaffali per i suoi dischi. 

La matematica che governa in A9 il tracciamento del comportamento degli utenti, e che gestisce sia la proposta dei correlati, sia l’autocompletamento della stringa di interrogazione (? chiarire),tende a mettere al bando questa pluralità di passioni e di risorse. Se da un lato viene legittimato il mercato che alimenta un tratto minoritario della coda delle vendite, come quello della musica classica – dall’altro lato viene definitivamente emarginata nell’irrazionalità (economica e produttiva) la decisione di investire su tutto quello che all’interno della nicchia non occupa le aree del catalogo che assicurano una vendita. Amazon tollera l’eccentricità, fino a quando è il polo di aggregazione di una nicchia finanziariamente accettabile; oltre questo confine, la scure decapita la differenza con più precisione e convinzione di prima. Niente di personale: è solo questione di numeri.

Gli utenti apprezzano la piattaforma di Bezos perché sanno che, se qualcosa esiste, allora quasi certamente la potranno trovare proprio qui. Ma Bezos si approfitta della propria posizione di monopolio: il gatekeepernon solo stabilisce chi entra e chi esce, ma dirige anche gli ospiti in una direzione o in un’altra. Crea la fortuna di una merce e di un produttore secondo il criterio di smistamento degli utenti in seguito alle loro domande. Può forzare la fissazione dei prezzi, governare le regole per la consegna e lo stoccaggio delle merci.

Amazon non è solo il negozio dove c’è tutto; è anche il luogo in cui ci sono tutti, vista la sua capacità di intercettare il pubblico più ampio del mondo. Grazie a un campione che nel 2015 contava 304 milioni di clienti (quasi quanto la popolazione degli Stati Uniti al completo, e con un tasso di crescita annuale tra il 10% e il 20%), un catalogo di 562 milioni di prodotti, con oltre 5 miliardi di consegne, con il servizio Prime, nel solo 2017[, e vent’anni di esperienza alle spalle, oggi Amazon è in grado di elaborare una conoscenza dei comportamenti degli utenti che non ha eguali sul pianeta. Nessun altro soggetto sul mercato può aspirare a competere con il know how accumulato nei server della società, attraverso la registrazione delle ricerche, e la stratificazione degli ordini e delle spedizioni.Nella sua promessa agli investitori, Bezos assicura che Amazon aspira non semplicemente a essere la più grande piattaforma di e-commerce, ma l’unicasul pianeta, e che per questa ragione richiede investimenti maggiori, più voluminosi e più dilatati nel tempo, rispetto a qualunque rivale. Inoltre promette che  i dati catturati sugli utenti sono in grado di ridurre al minimo ogni segmento di costo. Le spese per lo stoccaggio delle merci e per la gestione delle spedizioni può essere progettata con un grado di precisione e un anticipo con cui nessuno può competere perché nessuno può disporre della stessa mole di informazioni. I dollari investiti quindi non solo sono molti di più, ma hanno un’intensità di realizzazione molto maggiore rispetto ai rivali. Amazon è l’espressione migliore di quanto sostenuto da Galbraith, il quale arrivava a giustificare l’esistenza di un monopolio in base alla maggiore efficienza economica e un effetto di riduzione dei prezzi per i consumatori finali. 

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