Pochi giorni fa si è saputo che Google dispone di un computer in grado di “effettuare in tre minuti calcoli che i più potenti computer classici avrebbero impiegato diecimila anni a portare a termine”. Significa che il potere di Mountain View è ormai fuori controllo. Dobbiamo cominciare a preoccuparci?
Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita. (Richard Feynman)
Google ha raggiunto per la prima volta la Quantum Supremacy, la supremazia quantistica. Non è Google a dirlo, ma il Financial Times che sostiene di avere letto un paper scientifico pubblicato sul sito della Nasa (e subito cancellato); nel documento i ricercatori di Google annunciavano che il loro computer quantistico aveva “effettuato in tre minuti e 20 secondi calcoli che i più potenti computer classici avrebbero impiegato diecimila anni a portare a termine”. La notizia era attesa da diversi mesi, ma ha ugualmente fatto scalpore (anche se Google non l’ha finora confermata e le applicazioni commerciali sono ancora lontane diversi anni) perché rappresenta una svolta che potrebbe avere enormi ripercussioni sullo sviluppo della tecnologia e sul potere di Google. Google Supremacy, verrebbe da dire.
Fu John Preskill, uno scienziato al California Institute of Technology, a coniare la frase Quantum Supremacy alcuni anni fa, per indicare il momento in cui un computer quantistico sarebbe stato in grado di eseguire calcoli molto più velocemente del più potente computer tradizionale. Preskill sosteneva che “un computer quantistico potrà simulare in modo efficiente ogni processo fisico che avviene in natura”. Nel 2012 Google fissò quella data al 2017: si è sbagliata di due anni.
Molti sostengono che siamo a un punto di passaggio che ricorda i primi anni Novanta, quando il web faceva i primi passi, non era ancora chiaro dove ci avrebbe portato ma gli esperti erano già certi che avrebbe cambiato il mondo. Ma che cosa sono i computer quantistici? E perché sono così importanti?
Due parole sui QuBit
L’idea di costruire i computer quantistici circola negli ambienti scientifici fin dai primi anni Ottanta, quando Richard Feynman (premio Nobel per la fisica) ne parlò nel corso di una conferenza. Sono passati quasi quarant’anni da allora e per molto tempo quell’intuizione venne considerata un sogno utopistico, certo auspicabile, ma forse irrealizzabile.
Qui bisogna fare una parentesi di carattere scientifico che potrebbe presentare qualche problema di comprensione, non perché i concetti espressi siano difficili, ma perché sono bizzarri e controintuitivi. (La fisica quantistica è, in effetti, bizzarra e controintuitiva: andate a rileggere la frase di Feynman che apre questo articolo. Chi non ha voglia di cimentarsi può saltare al capitoletto successivo).
La teoria quantistica prevede che le particelle elementari di cui è composto l’universo si comportino secondo regole che contraddicono in modo plateale la nostra istintiva visione del mondo. Queste regole prevedono, per esempio, che le particelle elementari non abbiano una posizione ma solo “una probabilità di posizione”. In altre parole: non si trovano in un punto preciso dello spazio, ma un po’ qui e un po’ là contemporaneamente, in quella che viene definita “una sovrapposizione di stati”.
La teoria prevede anche altre modalità di comportamento che sfuggono alla nostra logica: due particelle possono restare legate anche se vengono allontanate a una distanza considerevole: si chiama “entanglement”, che significa “legame”, una caratteristica che, pur prevista dalla teoria, ha suscitato per decenni l’incredulità di molti scienziati: è stata verificata sperimentalmente solo alla fine del secolo scorso e ha alimentato bizzarre dissertazioni filosofiche.
Sono proprio queste stranezze della fisica quantistica a generare le gioie e i dolori di chi cerca di realizzare i computer quantistici: gioie perché la teoria lascia sperare in nuove macchine miliardi di volte più potenti di quelle attuali, dolori perché è difficile tenere sotto controllo questo stravagante mondo subatomico: la sovrapposizione degli stati e l’entanglement sono ormai accertati scientificamente ma sono difficili da domare da un punto di vista tecnologico. Per farlo, per esempio, è necessario conservare il sistema a temperature bassissime, a poche decine di millesimi di grado dallo zero assoluto (cioè a circa 273 gradi sotto zero).
Per spiegare perché i computer quantistici rappresentino un gigantesco passo in avanti bisogna ricordare che i computer tradizionali funzionano con un meccanismo binario: ogni bit può avere due valori, zero o uno, on o off. Al contrario, i bit del computer quantistico (“qubit”) possono assumere qualunque valore compreso tra zero e uno (essendo una “sovrapposizione” di stati ed essendo ogni qubit connesso con altri qubit).
La conseguenza di queste diverse caratteristiche è che, mentre i computer di oggi possono eseguire un calcolo per volta, i computer quantistici sono in grado di affrontare più calcoli contemporaneamente. Un computer da 300 qubits potrebbe eseguire contemporaneamente tanti calcoli quanti sono gli atomi nell’universo. Il computer quantistico di Google (figlio del progetto Sycamore) utilizza 53-Qubit.
Dati, dati, dati
Il desiderio di elaborare in fretta grandi masse di informazioni spiega perché i finanziamenti a queste ricerche siano cresciuti esponenzialmente negli ultimi dieci anni, da quando è esplosa l’”economia dei dati” ed è risultato chiaro quali potenzialità economiche (e non solo) siano contenute nei colossali archivi che ogni giorno si accumulano nei server dei colossi digitali. Infatti i protagonisti principali nella ricerca sui computer quantistici sono aziende come Google, Ibm, Microsoft, Intel, oltre ai loro corrispettivi cinesi: Baidu, Alibaba e Tencent. (E c’è da prevedere che, dopo l’annuncio di Google, la corsa al primo computer quantistico commerciale si farà ancora più frenetica).
Le possibili applicazioni di questa tecnologia sono infinite. Ci sono innanzitutto quelle più direttamente legate all’attuale business delle grandi compagnie high-tech: per esempio la profilazione degli utenti, l’analisi dei comportamenti di ogni singolo consumatore, il riconoscimento facciale, la comprensione della voce umana e il perfezionamento dei traduttori automatici. Ma accanto a questi ci sono applicazioni socialmente più utili. Nelle interviste con i ricercatori del settore compaiono obiettivi apparentemente utopistici come la progettazione di nuove molecole per la cura di malattie oggi inguaribili e persino la soluzione dei problemi come il riscaldamento globale.
Un recente rapporto del Boston Consulting Group sostiene che i computer quantistici “cambieranno le regole del gioco in settori come la crittografia, la chimica, le scienze dei materiali, l’agricoltura, la farmaceutica, per non parlare dell’intelligenza artificiale, il machine learning, la logistica, la manifattura, la finanza e l’energia”. In altri termini: tutto. Un computer in grado di effettuare contemporaneamente miliardi di calcoli farebbe fare un salto in avanti non solo alla tecnologia ma alla stessa comprensione della realtà fisica e di quella sociale.
Ma facciamo una pausa per capire meglio la strategia di lungo periodo di Google.
Sostiene Kurzweil
Nell’aprile 2006 intervistai un ricercatore di nome Ray Kurzweil nel suo ufficio di Boston: allora era presidente della Kurzweil Technologies e aveva appena pubblicato un libro che aveva fatto scalpore nella comunità scientifica: The Singularity is Near: When Humans Transcend Biology, (La singolarità è vicina. Quando gli uomini trascendono la biologia). Perché ne parlo qui? Perché nel 2012 Kurzweil fu assunto da Google come Direttore dell’Ingegneria, carica che ricopre tuttora, ed è interessante dare un’occhiata alle sue idee sul futuro.
Quando lo intervistai Kurzweil non era un ricercatore qualunque: nel 1999 era stato insignito della prestigiosa “National Medal of Technology” dal presidente Bill Clinton, nel 2001 aveva ricevuto il Lemelson-Mit Prize, il più importante del mondo, per le sue invenzioni, e nel 2005 Bill Gates lo aveva definito: “Il migliore nel predire il futuro dell’intelligenza artificiale”.
Nel corso dell’intervista Kurzweil ribadì i punti centrali sviluppati nel suo libro. In sintesi ecco le sue previsioni (che ha sempre confermato): il primo punto di svolta arriverà nel 2029, l’anno in cui – secondo lui – i computer diventeranno più intelligenti degli uomini e il progresso dell’umanità farà un balzo in avanti inimmaginabile. A quel punto una nuova generazione di computer (in grado di elaborare dieci miliardi di operazioni al secondo) consentirà passi da gigante nel capire i meccanismi intimi dell’universo: persino di “riprogrammare la biologia e la struttura del nostro cervello”. Nel 2029? Gli chiesi incredulo. “Sì, ma è una previsione cauta”. E la Singolarità? “Avverrà nel 2045 quando l’intelligenza non biologica sarà molti miliardi di volte più potente dell’intelligenza umana. Questo comporterà una trasformazione assai profonda della nostra civiltà”. In matematica, per capirci, la Singolarità è un punto di discontinuità in cui spesso le curve tendono all’infinito.
Sciocchezze? Forse. Ma ora Kurzweil è direttore dell’Ingegneria di Google e ha un ruolo decisivo nelle strategie di ricerca della società. Ha anche fondato una nuova università (la “Singularity University”) che nella Silicon Valley va per la maggiore. E sul sito dell’università (il Singularity Hub) si legge che i computer quantistici consentiranno di accelerare le tecniche di intelligenza artificiale; di modellare le 20 mila proteine codificate nel genoma umano simulando le loro interazioni con ogni tipo di farmaco; di trovare soluzioni al problema del global warming, magari catturando il carbonio nell’atmosfera; e così via.
La tecnologia come religione
Ho citato l’intervista a Kurzweil e le sue previsioni per il futuro non perché le ritenga sensate né tanto meno ineluttabili (semplicemente non sono in grado di dare un giudizio), ma perché esprimono una cultura che è largamente estranea al mondo europeo, in particolare a quello italiano, e che invece permea larghi strati della società americana, specie l’élite tecnocratica che è insediata nella Silicon Valley.
A questo proposito il sindaco di New York, Bill de Blasio (che ha appena ritirato la sua candidatura alle primarie democratiche per la presidenza), ha detto cose interessanti in una recente intervista: “Ho parlato con molti tecnologi, e per alcuni di loro la tecnologia è diventata quasi una religione e la soluzione di ogni problema”.
Ha aggiunto: “C’è un’eccessiva indulgenza quando si dice che le intenzioni (di queste aziende, ndr) sono buone, la tecnologia è buona e finirà per liberarci… è solo una forma di propaganda… Ci sono pericoli. Io non credo a nessuna azienda. Queste sono pur sempre delle multinazionali… Il governo sarà pure imperfetto ma almeno ha un mandato democratico, prevede bilanciamenti e un po’ di trasparenza”.
De Blasio coglie esattamente il problema e chiede nuove regole per limitare il potere di queste aziende.
È difficile dire se le previsioni di Kurzweil si realizzeranno ma è certo che una simile esplosione della capacità di calcolo, in un mondo dove alcune grandi organizzazioni private stanno accumulando colossali quantità di informazione su tutti noi, può portare ad abusi che oggi non possiamo neanche prevedere, così come dieci anni fa non potevamo immaginare gli effetti che i motori di ricerca e i social network avrebbero avuto sulla nostra vita, e forse sul referendum della Brexit e sulle elezioni Usa nel 2016.
È la ragione che spinge molte organizzazioni internazionali (le autorità antitrust americane, europee e australiane, oltre ai 50 Stati Usa) a mettere sotto accusa le grandi società tecnologiche che ormai hanno più potere degli Stati.
L’annuncio della “quantum supremacy” di Google è arrivato un po’ in sordina, pochi giornali ne hanno scritto, ma è una notizia importante che riguarda il Potere con la P maiuscola.