Piattaforme pericolose?

L’interrogativo che poniamo in questo libro – se alcuni dei grandi colossi del mondo digitale sono diventati monopoli pericolosi per l’economia e persino per la democrazia – è una delle grandi questioni che attraversano la società di oggi. 

Non è – lo diciamo subito – un interrogativo a cui è facile rispondere perché le aziende di cui parliamo, specie le tre a cui si riferisce il titolo di questo libro, sono al centro di una grande varietà di domande: danneggiano i consumatori? costituiscono un freno alla libera competizione impedendo ad altri protagonisti di emergere? possono costituire un pericolo per la democrazia non solo per l’eccessivo potere economico concentrato in poche mani, ma anche per l’impatto sulla cultura che quelle aziende esercitano sulla diffusione e sulla concentrazione dell’informazione? e ancora: in che modo la concentrazione di risorse innescata dalla crescita dei grandi del digitale contribuisce all’aumento delle ineguaglianze che rischia di disgregare le società occidentali, in particolare gli Stati Uniti e l’Europa? 

Come è evidente, non si tratta di problemi di poco conto. E in ogni caso, quando provate a porre questi interrogativi a persone esperte di ricerca e di tecnologia, vi sentite rispondere con domande altrettanto pregnanti: tagliando le ali a questi giganti non si rischiadi frenare i processi di innovazione? e non si rischiadi fare il gioco di altri colossi – Alibaba, Tencent, Baidu – che stanno crescendo al riparo delle nostre – molto occidentali – preoccupazioni sugli eccessi di potere, sulla privacy, sulla stabilità dei processi democratici, offrendo loro più spazio per vincere la sfida per l’egemonia mondiale? 

Come si vede, le questioni sul tappeto sono molte e riguardano tutte il nostro futuro:  e non solo quello delle nostre aziende e della loro libertà di crescere in un ambiente dove la competizione non sia vanificata dall’esistenza di attori troppo potenti. Stiamo parlando soprattutto della nostra libertà, in un mondo digitale in cui la tecnologia consente processi di personalizzazione e di controllo individuale così avanzati e capillari da rendere indispensabile un ripensamento delle regole che sottendono la nostra vita digitale. 

C’è un punto che vogliamo sottolineare, e che sarà uno dei fili conduttori di tutto il volume: quello dei monopoli non è un problema tecnico, come molti pensano e come quasi tutti i politici fanno intendere. È invece – oggi ancora più di ieri – un grande problema politico che investe direttamente l’equilibrio e la distribuzione dei poteri all’interno della società, e quindi la nostra vita di cittadini liberi. 

In questo libro abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sui tre protagonisti principali di questo mondo: Amazon, che domina incontrastato il commercio digitale; Google, che ha il predominio nella ricerca online; e Facebook, un social network globale utilizzato da oltre 2,2 miliardi di persone.      

Questa discussione si inserisce in un dibattito in corso in due continenti. Citiamo, solo per mostrare come questo tema stia diventando centrale nella politica internazionale, un paio di personaggi chiave – entrambi di sesso femminile – che costituiscono due punti di riferimento per chi crede che il problema dei monopoli digitali sia ormai diventato un’emergenza grave. 

La prima, in Europa, è Margrethe Vestager: la danese che dal 2014 è Commissario alla concorrenza della Commissione Europea e che ha cambiato in modo radicale l’atteggiamento dell’Unione nei confronti dei grandi dell’high tech, aprendo inchieste su Google e altri protagonisti dell’era digitale. 

La seconda, negli Stati Uniti,  è Elizabeth Warren, senatrice democratica del Massachussetts al Congresso, uno dei probabili candidati a sfidare Donald Trump nelle elezioni del 2020: sostiene che il partito democratico deve compiere una svolta a 180 gradi, tornare alla tradizione democratica della prima metà del secolo scorso e fare della battaglia contro i monopoli uno dei punti forti della propria piattaforma.  

Perché il problema sul tappeto è proprio questo. A essere sotto accusa non sono solo un manipolo di aziende, per quanto potenti siano, ma un’intera cultura che si è diffusa nelle società occidentali negli ultimi cinquant’anni, a partire dall’ascesa, all’università di Chicago, di una scuola di economisti neoliberali che faceva capo a Milton Friedman, e alla Casa Bianca di Ronald Reagan.

Da allora (stiamo parlando degli anni Settanta) la cultura che ha contagiato sia la destra sia la sinistra nel mondo ha portato ad annacquare la cultura anti-monopolio che era cresciuta soprattutto negli Stati Uniti nella prima metà del secolo. Nella Silicon Valley, nel mondo delle startup che si sono moltiplicate negli ultimi decenni e hanno conquistato un posto di primo piano nell’economia internazionale, quella cultura si è colorata di un estremismo “libertarian” che si pone come una alternativa alla cultura degli Stati nazione che abbiamo conosciuto negli ultimi secoli. 

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