Newsletter #9

Approfondimenti



Salvini lava più bianco (di Zingaretti)

Nella campagna online per le recenti elezioni europee il Pd ha speso più della Lega. Ma ha usato messaggi generici e meno personalizzati. Mentre la Lega ha puntato tutto sul Capitano e sugli argomenti suggeriti da Google Trends. E la Bestia, tanto decantata dai media, ha usato solo un po’ di buon senso populista. Radiografia di due strategie digitali (continua a leggere)


Segnalazioni

Libra: quello che si sa

Come abbiamo scritto la settimana scorsa, Facebook ha annunciato l’intenzione di lanciare una criptomoneta chiamata Libra.  Ecco quello che si sa.

  • Libra sarà rilasciata (nelle intenzioni di Facebook) nel 2020. La tecnologia è open source. 
  • La criptomoneta non sarà gestita direttamente da Facebook ma da una fondazione basata in Svizzera, spalleggiata (oltreché da Facebook) da altre 27 organizzazioni tra cui Uber, Lyft, Visa, Mastercard, Paypal, Andreessen Horowitz e Union Square Ventures. Ognuno dei 28 partner ha versato 10 milioni di dollari per poter partecipare al progetto. Tra i 28 non ci sono banche.
  • Facebook ha creato un’azienda sussidiaria, Calibra, per gestire Libra sulle sue applicazioni Whatsapp e Messenger. Libra potrà essere usata anche su applicazioni iOS e Android. 
  • Facebook ha detto che non trarrà direttamente profitti da Libra. Ma il Wall Street Journal nota che “Facebook, essendo lo sviluppatore della tecnologia, eserciterà un’influenza considerevole si di essa”.  

Libra: quello che non convince

Numerosi analisti sostengono che Facebook userà Libra per far crescere le attività commerciali, i pagamenti e il gaming all’interno della piattaforma. Il modello è la cinese WeChat.

Michael Boom, su CNBC, si chiede perché Visa e Mastercard, che potrebbero essere danneggiate da Libra (che non prevede costi per le transazioni), partecipino a questa impresa. Risposta: “Perché partecipare a Libra consente loro di monitorare da vicino le ambizioni di Facebook”. 

Secondo l’Economist le maggiori barriere al successo dell’iniziativa saranno politiche. Facebook ha consultato diversi enti regolatori. Ma dovrà assicurare di applicare le regole nazionali, per esempio quelle che impediscono il riciclaggio. Ci sono anche problemi di competizione. Un’associazione di controllo potrebbe voler vigilare sul Social Graph di Facebook per garantire che gli utenti, attraverso Libra, possano postare denaro anche a utenti su altri social network e viceversa. Ma questo vorrebbe dire che i diversi social network diventerebbero interoperabili.

Negli Stati Uniti Maxine Waters, presidente della Commissione sui servizi finanziari del Congresso, ha dettoche “Facebook dovrebbe congelare il progetti finché le autorità regolatorie non avranno approvato il suo piano, visto il passato travagliato della società”. 

Il governo francese, che ha la presidenza del G7, ha chiestoche un gruppo di lavoro di banchieri centrali ed esperti del Fondo monetario di studiare i problemi di stabilità finanziaria posti da una moneta come Libra.

Il Financial Times scrive che ci sono almeno quattro domande che gli enti di regolazione dovrebbero porre a Facebook. 

  1. Che cos’è Libra?Denaro? Un fondo? Un’obbligazione? Una nuova categoria? Facebook prevede dei depositi? Si tratta di obbligazioni o di semplici voucher da scambiare all’interno di una comunità limitata? Di che tipi di licenze avrà bisogno da parte degli enti regolatori?
  2. Sono necessarie nuove regole?Fino a oggi le autorità hanno evitato di creare nuove regole per le criptovalute, ma Olivier Guersent, dirigente europeo che si occupa di problemi legati alla stabilità finanziaria, dice che la concentrazione di dati personali e finanziari nella mani di Facebook obbliga le autorità a valutare attentamente la questione. 
  3. Chi è responsabilese il sistema viene attaccato dagli hacker e il denaro sparisce?
  4. C’è il rischio di riciclaggio? I progetti di Facebook consentono a ogni utente – dice il FT – di creare diversi conti usando differenti pseudonimi. Questo non piace alle autorità perché potrebbe favorire il riciclaggio e contraddice le recenti norme europee in materia. Questa potrebbe essere una ragione per spiegare perché tra i 28 fondatori del sistema non compare alcuna banca.


DeepFakeNews: se Trump dichiarasse guerra…

Immaginate un video in cui Donald Trump dichiara guerra alla Cina: un video falso ma perfetto, con immagini vere e una voce perfettamente ricostruita grazie a tecniche di intelligenza artificiale. Si chiama deepfake news, ed è considerato un pericolo grave e imminente, che potrebbe avere effetti sconvolgenti sui rapporti internazionali e cambiare l’esito di elezioni. Tanto che Adam Schiff, chairman della Commissione sui servizi di Intelligence al Congresso Usa, vuole riconsiderare(insieme a un gruppo sempre più folto di deputati) le protezioni legali fino a oggi garantite fino a oggi alle piattaforme. Dal 1996 la Sezione 230 del Communications Decency Act protegge le piattaforme (Facebook, Twitter, YouTube…) che pubblicano contenuti generati dagli utenti. “Diritto di parola” era la parola chiave, fino a ieri. Le piattaforme non sono mai state considerate alla stregua di “editori”, ma solo come intermediari irresponsabili. Recentemente le cose sono un po’ cambiate: l’anno scorso è stata votata una legge che rendeva più facile citare in giudizio le piattaforme per pubblicità legate alla pedofilia e alla schiavitù sessuale. Ora, viste le implicazione delle deepfake news per la sicurezza nazionale, Schiff ha dichiarato: “Se i social media non sono in grado di esercitare un adeguato standard di sicurezza nei confronti di contenuti particolarmente fraudolenti e illeciti, allora dobbiamo ripensare se l’immunità di cui godono ha ancora senso. Non sono aziende nascenti che lottano per la sopravvivenza, ma giganti da cui ci aspettiamo atti di responsabilità”. In altri termini: o le piattaforme prendono sul serio la lotta alle fake news, o rischiano grosso.

Telecamere, sorveglianza, video analytics

Ci sono migliaia di telecamere in giro per le città. Ma non abbastanza occhi per guardarle. In un rapportoappena pubblicato da ACLU (American Civil Liberties Union) si dice che le nuove tecniche di video analytics consentono, in modo rapido e poco costoso, di osservare le riprese di reti sempre più fitte di telecamere e non perdersi nulla di quello che stiamo facendo, segnalando anomalie nei nostri comportamenti, deviazioni dalla norma, valutando gli stati emozionali grazie al riconoscimento facciale. Il mercato dei video analytics – secondo gli analisti – è destinato a triplicare entro il 2023, passando da 3,2 miliardi di dollari a quasi dieci. Naturalmente si tratta di tecnologie molto utili contro la criminalità e il terrorismo. Ma sono necessarie nuove leggi per garantire i diritti civili. 

GDPR, norma europea che favorisce le aziende Usa

Il GDPR (General Data Protection Regulation) il nuovo regolamento europeo per proteggere la privacy, ha favorito gli investimenti nelle grandi piattaforme, danneggiando le piccole imprese del web. La ragione? Le nuove regole hanno reso più difficile per le piccole aziende la raccolta di dati che rende possibile la targettizzazione dei messaggi pubblicitari. Così gli investitori hanno preferito privilegiare le grandi piattaforme. In altri termini: le nuove norme europee hanno favorito i giganti americani, danneggiando i piccoli europei. Lo dice Mark Read, CEO del gigante della pubblicità WPPPLC.  Piove sul bagnato.   

Dopo gli scandali, Facebook in calo 

L’attività su Facebook, dall’aprile 2018, quando è esploso lo scandalo di Cambridge Analytica, è calata del 20%: meno like, meno condivisioni, meno post. Lo dice un’analisi di Mixpanel, una società di business analytics, citata dal Guardian.

L’influencer è virtuale 

Lil Miquela ha un milione e seicentomila follower su Instagram. E ogni mese 800 mila persone scaricano le sue canzoni da Spotify. Ma non è un essere umano: è un personaggio digitale generato dal computer. Ha lavorato anche per Prada e ha rilasciato interviste. Non è l’unica. Quella degli influencer virtuali sta diventando un trend di moda. Lavorano 24 ore su 24, non si montano la testa e costano meno. Il New York Timespubblica una storia interessante di questa tendenza.