Newsletter #14

Gentili utenti, 

ZeroZeroUno va in vacanza. Già questa settimana abbiamo funzionato a ritmo ridotto: non abbiamo Approfondimenti da offrirvi, ma solo Segnalazioni. Vi ringraziamo per l’attenzione e vi auguriamo una buona estate. Arrivederci ai primi di settembre.

Segnalazioni

Tutta colpa di Mediaset?

Esiste una forte correlazione tra l’avvio delle reti Mediaset, negli anni Ottanta, e la crescita della propensione verso i partiti populisti tra i telespettatori che all’epoca avevano meno di 14 anni e più di 55 anni, le due fasce di età più esposte alle trasmissioni delle tv commerciali di Berlusconi. A fare questa (non molto) sorprendente affermazione è un articolo di ricerca  firmato da Ruben Durante (Università Pompeu Fabra,  Barcellona), Paolo Pinotti (Università Bocconi) e Andrea Tesei (Queen Mary University di Londra). Va sottolineato che negli anni Ottanta le reti Mediaset non trasmettevano ancora i notiziari, quindi non divulgavano informazioni con chiaro orientamento politico. L’influenza che hanno esercitato sui telespettatori è determinata dalla scarsa qualità delle scelte del palinsesto, fondato su intrattenimento che ha favorito la diffusione di un linguaggio più povero, nessun esercizio di senso critico, una visione semplicistica del mondo. Sono questi i caratteri del linguaggio e della propaganda dei partiti populisti (non di Berlusconi nello specifico, ma anche dei 5Stelle e della Lega). Naturalmente “correlazione” non significa “causalità”. In altri termini: il fatto che due cose siano correlate non significa che una sia causa dell’altra. E il fatto che l’indagine ci offra una prova di quello che vorremmo sentirci dire ci obbliga a leggere il testo con adeguato scetticismo. Ma si tratta comunque di un contributo interessate, a cui il Washington Post dedica un lungo approfondimento, citando anche esempi di altri paesi.   

Cambridge Analytica: il film

Dal 24 luglio su Netflix si può vedere “The Great Hack”, un documentario sul caso Cambridge Analytica. Il New York Times ha pubblicatouna recensione sostanzialmente positiva, pur con molti distinguo. L’Economist lo ha stroncatosenza pietà. Il documentario ha parecchi limiti, ma è comunque molto interessante. 

Tecnologia istantanea

Le nuove tecnologie di successo si diffondono a una velocità crescente. I telefoni cellulari impiegarono 12 anni per raggiungere 50 milioni di utenti. Facebook ci ha messo 4 anni. WeChat un anno. Pokemon Go 19 giorni.  

2021: la pubblicità è digitale

Nel 2021, secondo Zenith, la pubblicità su Internet rappresenterà il 52% della spesa pubblicitaria globale. In Italia solo il 37%.

Google: una causa durata nove anni

Nel 2010 si scoprì che le auto di Google che giravano per mappare le città memorizzavano anche le password dei wi-fi privati a cui passavano accanto. Ora Google si è finalmente accordataper una multa da 13 milioni di dollari per violazione della privacy. Ma solo i venti cittadini che hanno fatto causa riceveranno qualche rimborso. Google sarà obbligata distruggere tutti i dati raccolti. Ci sono voluto quasi dieci anni (!) per arrivare in fondo alla vicenda giudiziaria.   

Big Tech: l’Antitrust si muove

Il Dipartimento della Giustizia Usa ha avviato un’indagine per verificare se i giganti high tech hanno usato il loro potere per danneggiare la competizione. Il Dipartimento non cita alcuna azienda in particolare ma i settori indicati (ricerche online, social media, e-commerce) mostrano che sotto osservazione saranno certamente messi Google, Facebook e Amazon. Si tratta di un annuncio inusuale: segno che il Dipartimento vuole rispondere alle preoccupazioni crescenti dell’opinione pubblica (quella americana ed europea, non certo di quella italiana). Secondo il Wall Street Journal, dopo una lunga discussione il Dipartimento della Giustizia e l’FTC (l’Antitrust) si sono divisi i compiti: il primo si occuperà di Google e Apple, la seconda di Facebook e  Amazon.

Un ministero per l’attenzione?

Zoe Lofgren e Anna Eshoo, deputati democratici della California, hanno fatto circolare un progetto di legge per creare un’agenzia per la protezione dei dati (con 1.600 dipendenti). Andrew Yang (candidato democratico alle primarie) propone di creareun nuovo “Dipartimento per l’economia dell’attenzione”.  

Libra, le mani sulle rimesse 

In un’interessate analisi il Sole 24 Ore sostiene che con la sua nuova criptomoneta (Libra) Facebook punta soprattutto al business delle rimesse (almeno in una prima fase). Secondo la Banca Mondiale si tratta di un giro di affari che nel 2018 ha toccato i 679 miliardi di dollari. Il Sole sostiene che nel 2018 “trasferire 200 dollari attraverso le frontiere ha avuto un costo medio del 7,1% con punte del 9,4% nell’Africa sub-sahariana”. L’Unesco nell’ultimo Report sull’educazione globale, ha stimato in 25 miliardi il costo per i migranti. Abbattendo questi costi e facilitando le transazioni con un’app scaricata sul cellulare, Facebook e i suoi soci (27, fino a oggi) potrebbero puntare a un business miliardario. Per alcuni paesi il flusso monetario in ingresso, in quanto reddito di rimessa dei cittadini trasferiti all’estero, costituisce la voce principale del bilancio nazionale. L’indagine del Sole rileva alcuni dati di interesse generale: il primo riguarda la totale libertà di manovra della Fondazione svizzera che gestisce Libra, sottratta al controllo di qualunque autorità finanziaria. Il secondo è che anche i paesi europei presentano nel bilancio nazionale un reddito di rimessa: per l’Italia equivale allo 0,4% del PIL.

Chris Hughes, da amico a nemico 

Chris Hughes, uno dei fondatori di Facebook (era amico e compagno di università di Mark Zuckerberg), è ora uno dei suoi peggiori nemici.  È diventato uno dei principali consulenti della Federal Trade Commission (l’Antitrust) e del Dipartimento della Giustizia. Il suo obiettivoè lo spezzettamento dell’azienda.  

Hong Kong: guerra al riconoscimento facciale

A Hong Kong, mentre le dimostrazioni di piazza diventano sempre più frequenti e violente, sia i dimostranti sia i poliziotti cercano di mantenere segreta la propria identità, nell’era del riconoscimento facciale. I manifestanti portano maschere. I poliziotti hanno eliminato i badges (con il numero di riconoscimento) da quando su Dadfindboy, un canale di Telegram (social network molto diffuso a Hong Kong) sono comparse informazioni sui poliziotti coinvolti nella repressione di piazza e sulle loro famiglie. Nelle ultime manifestazioni i dimostranti hanno cominciato a disturbare l’azione della polizia con fasci laser e spruzzando vernici sulle telecamere sparse per la città.  

Facebook cresce ancora, nonostante la multa  

È ufficiale: la Federal Trade Commission (l’Antitrust americano) ha imposto una multa di 5 miliardi di dollari a Facebook per la violazione dei dati degli utenti nel caso di Cambridge Analytica. Il mercato ha già assorbito bene il danno erariale, con un rialzo del titolo di Facebook del 3,34%. Peraltro Menlo Park ha annunciato un fatturato e un numero di utenti registrati alla piattaforma in crescita oltre le aspettative: il fatturato dell’ultimo trimestre è di 16,7 miliardi, gli utenti registrati 2,41 miliardi. Analisti e investitori restano in attesa di un piano per una strategia di protezione dei dati degli utenti per il futuro.

Google cambia dieci volte al giorno

Nel 2018 Google ha sperimentato oltre 3.200 aggiornamenti dell’algoritmoche decide il ranking nelle pagine di ricerca (cioè che stabilisce l’ordine in cui i risultati vengono presentati agli utenti). Le variazioni dell’algoritmo hanno interesse pubblico, perché il modello di business di molte imprese può essere compromesso dalle modifiche nella visibilità assegnata da Google alle pagine del loro sito. Ma come è possibile, per un’azienda, fare affidamento su un servizio che cambia dieci volte al giorno?