Un altro settore investito dalla potenza di espansione di Amazon è la logistica, che tradizionalmente è dominata da due giganti: UPS e Fedex. Nel solo 2015, UPS ha incassato un fatturato di oltre un miliardo di dollari da Bezos – che ha strappato uno sconto sul prezzo delle consegne di circa il 70%. (Corsi e ricorsi storici: anche la Standard Oil di Rockefeller pretendeva segretamente sconti simili dai gestori delle ferrovie, vedi pagina…). Un destino simile è stato riservato anche a FedEx. A loro volta, questi colossi della logistica si rifanno per il taglio dei loro margini sugli altri clienti, che pagano un prezzo più alto per il trasporto delle merci.
Da parte sua Amazon ha inaugurato un programma (Fullfillment-by-Amazon: FBA) che assicura ai rivenditori autonomi che hanno aderito al Marketplace un servizio di consegne attraverso Prime. L’effetto di questa strategia è che la piattaforma di e-commerce è ormai diventata un intermediario tra i clienti che vendono attraverso Amazon e le grande aziende della logistica, e si sta quindi trasformando in un hub dei trasporti.
Ma Amazon sembra intenzionata ad andare ben oltre, ponendosi direttamente come concorrente dei grandi di questo settore. Nel dicembre 2014 ha annunciato la nascita di una sua società (Prime Air) per la consegna di pacchi via droni, ponendosi l’obiettivo di effettuare consegne entro mezz’ora dall’ordine a un costo medio non superiore a 1,1 dollari. Un secondo annuncio è arrivato nel febbraio 2018 quando è stata lanciata SWA, “Shipping With Amazon”, un’iniziativa che prefigura non solo una gestione interna per la gestione dei magazzini e le consegne, ma anche la volontà di soppiantare Ups e FedEx – dopo aver sottratto loro gran parte della base clienti. Come una piovra, Amazon allunga i suoi tentacoli a tutti i mercati limitrofi. E sembra inarrestabile.
Nel marzo 2012 Amazon ha investito 775 milioni di dollari per acquistare Kiva Systems (poi rinominata Amazon Robotics), una società produttrice di robot, dopo avere sperimentato i suoi sistemi automatizzati per spostare le merci all’interno dei suoi enormi magazzini. Dal 2013 al 2017 il numero di robot utilizzati nei magazzini di Amazon è salito da tremila a 100 mila, e questo numero continua a crescere. Prima dell’acquisizione, Kiva serviva altre decine di aziende, come Staples, Office Depot e Saks 5th Avenue. Dal giorno dell’acquisto, produce solo per la casa madre e non condivide le sue tecnologie con i concorrenti.
Nel dicembre 2016 Amazon ha annunciato progetti di ricerca nei settori del deep learning e della visione computerizzata per seguire i clienti nei propri negozi sperimentali senza cassiere (Amazon Go) e poter addebitare il costo di un prodotto ai clienti nel momento in cui questi lo prelevano da uno scaffale e lo depositano nel carrello. Nel 2017 ha comprato per 14 miliardi di dollari la catena Whole Foods, 473 supermercati (negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito) specializzati nel cibo biologico, a cui potrà applicare quelle tecnologie su grande scala. Nel 2007 Bezos aveva detto: “Per diventare una società da 200 miliardi di dollari dobbiamo imparare come vendere vestiti e cibo”. Detto, fatto.
È difficile stabilire quale sia ormai l’area principale dell’attività di Amazon. Il modello è stato diversificato fino a includere qualunque settore rivolto al pubblico di massa.
Nel gennaio 2018 ha annunciato l’ingresso nel business della salute[insieme a Berkshire Hathaway (la holding di Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo) e la banca di investimenti JPMorgan Chase. L’obiettivo, stando a una dichiarazione di Bezos, è: “diminuire i costi dell’assistenza sanitaria sull’economia e aumentare i benefici per i lavoratori e le loro famiglie”.
Nel 2017 Amazon ha investito 4,5 miliardi nella produzione di contenuti video ma molti analisti sostengono che si tratta di una cifra destinata a crescere (il concorrente Netflix ne ha spesi 7,5 nello stesso anno). Per ora questi contenuti vengono offerti come incentivo a iscriversi al servizio Prime, il cui costo sta aumentando in diversi Paesi, ma è difficile immaginare dove condurrà questa strategia.
Di più: la piattaforma rilascia anche servizi di cloud computing sotto l’etichetta AWS, una branca di attività che entra in competizione con Alphabet (Google), e che fornisce il 67% del reddito aziendale (prima delle imposte) a partire dal primo trimestre del 2016.
Nel 2017 Amazon ha investito 22,6 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, prima tra le aziende negli Usa e nel mondo[, con una crescita del 41% rispetto al 2016. Dai comunicati ufficiali di Amazon emerge che gran parte di questi investimenti sono stati focalizzati sui servizi per il web, la “computer vision” per supportare il progetto dei negozi senza cassieri che l’azienda sta sperimentando a Seattle (Amazon Go) e l’assistente personale Alexa.
A questo punto conviene ricapitolare, cercando di trarre le prime conclusioni. Se assumiamo i vecchi principi di Robert Bork come strada maestra per giudicare se Amazon è un monopolio, allora dobbiamo alzare le mani e arrenderci. Non ci sono dubbi che Amazon sia un paradiso per i consumatori: le merci arrivano in fretta, sull’uscio di casa, a prezzi spesso imbattibili. Ma questa “comodità” presenta numerosi problemi.
Amazon non è più solo un “Everything Store”, un negozio che vende di tutto. È anche – per usare una definizione di Lina Khan – “una piattaforma di marketing, un network per la consegna e la logistica, un servizio di pagamento, un agente di credito, una casa d’aste, un grande editore, un produttore di prodotti per la tv e di film, un designer di moda, un produttore di hardware, un gigante del cloud computing”.
Questo comporta un’intricata rete di conflitti di interessi difficili da giustificare. I casi Ups e FedEx sono clienti di Amazon ma sanno che l’azienda è anche il loro principale concorrente. Le aziende che usano il marketplace di Amazon sanno che in questo modo regalano a Bezos tutte le informazioni sulle vendite e sui singoli clienti. Le società concorrenti che usano il cloud di Amazon per i propri dati possono solo sperare che la società di Bezos non elabori le informazioni custodite a proprio vantaggio. Nel mondo dell’editoria ha un potere spropositato sugli editori ai quali può imporre prezzi e costi di marketing, in assenza di alcuna regola, pena la scomparsa dei titoli dalla piattaforma. Questo obbliga le aziende a un processo di concentrazione (perché un gigante può essere combattuto solo da altri giganti) che sta cambiando il mondo editoriale con una progressiva eliminazione dei piccoli attori. Amazon non è un’azienda come le altre, ma – secondo una strategia perseguita fin dall’inizio – è ormai diventata la piattaforma fondamentale dell’e-commerce nel mondo occidentale.
Inoltre l’enorme quantità di dati raccolta da Amazon sui cingoli clienti, e la mancanza di regole nel determinare i prezzi delle singole merci, offre all’azienda un potere incontrollato: secondo la società di analisi Profitero, Amazon apporta variazioni di prezzo ai suoi prodotti due milioni e mezzo di volte al giorno e questo pone il problema se Amazon utilizzi questo potere per personalizzare non solo le offerte ai singoli clienti, ma anche i prezzi, profilati sulla base della propensione a spendere e al conto in banca di ciascuno di noi.
È giusto porre dei limiti a un’azienda simile, o l’ideologia della “libertà del web” ci deve imporre di stare a guardare? Ne riparleremo, più in concreto, nell’ultimo capitolo.
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